1. Premessa
L’istituto della reperibilità si colloca in una zona intermedia tra orario di lavoro e tempo libero, costituendo un istituto volto a garantire la disponibilità del lavoratore, al di fuori dell’orario ordinario, per eventuali esigenze aziendali. La sua natura giuridica è stata delineata dalla contrattazione collettiva e, in via integrativa, dalla giurisprudenza, chiamata a individuare i confini tra tempo di lavoro effettivo e semplice disponibilità, con conseguenti riflessi retributivi e di tutela della salute.
L’evoluzione tecnologica e organizzativa delle imprese ha accresciuto la centralità della reperibilità quale strumento di flessibilità gestionale. Tuttavia, essa comporta una compressione della libertà personale del lavoratore, imponendo un bilanciamento tra le esigenze datoriali e la tutela dei diritti fondamentali del prestatore.
2. Quadro normativo
L’ordinamento italiano non prevede una disciplina generale di legge in materia di reperibilità. L’istituto trova regolamentazione quasi esclusivamente nella contrattazione collettiva, nazionale e aziendale, con eccezione del pubblico impiego, dove specifiche disposizioni (ad esempio, l’art. 20 del relativo ordinamento) prevedono indennità predeterminate.
In assenza di pattuizioni collettive, la reperibilità non può essere unilateralmente imposta dal datore di lavoro, in quanto integra un obbligo accessorio non desumibile ex lege dal contratto di lavoro subordinato.
3. Diritti del lavoratore
La giurisprudenza e la contrattazione collettiva riconoscono al lavoratore un diritto al compenso, anche in assenza di effettiva chiamata. L’indennità rappresenta il ristoro della limitazione alla libertà personale, configurandosi come emolumento autonomo rispetto alla retribuzione ordinaria.
La misura del compenso varia in relazione ai CCNL di settore (importi orari, giornalieri o a turno), con differenziazioni tra giorni feriali, festivi o di riposo. Inoltre, la giurisprudenza ha affermato che, laddove la reperibilità comporti vincoli tali da incidere significativamente sulla libertà di gestione del tempo – si pensi all’obbligo di permanenza sul luogo di lavoro o di intervento in tempi brevissimi – la stessa debba essere qualificata come orario di lavoro ai sensi della direttiva 2003/88/CE (Cass., ord. 23 aprile 2025, n. 10648).
4. Obblighi del datore di lavoro
Sul datore gravano obblighi di trasparenza e correttezza nella gestione dei turni di reperibilità, che devono essere programmati e comunicati preventivamente, con chiara indicazione delle modalità di chiamata e dei tempi di intervento.
È inoltre tenuto a rispettare i limiti contrattuali, garantendo che la reperibilità non si trasformi in abuso, e ad assicurare il rispetto dei periodi di riposo obbligatorio e della tutela della salute del lavoratore.
5. Limiti legali e giurisprudenziali
La reperibilità non può eccedere i limiti quantitativi previsti dai contratti collettivi né sostituire i riposi settimanali e giornalieri imposti dal d.lgs. n. 66/2003.
La giurisprudenza, in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, distingue tra reperibilità “passiva” (mera disponibilità, compensata da indennità forfetaria) e reperibilità “attiva” (con vincoli tali da incidere sulla libertà personale), riconducendo quest’ultima a pieno titolo all’orario di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 15 maggio 2013, n. 11727; Cass., ord. 23 aprile 2025, n. 10648).
6. Conseguenze dell’inadempimento
L’imposizione della reperibilità in assenza di regolamentazione contrattuale o la mancata corresponsione dell’indennità espongono il datore di lavoro a contenziosi individuali e a possibili accertamenti ispettivi. Il lavoratore può agire in giudizio per il recupero delle somme dovute, mentre la mancata risposta a una chiamata, se prevista e formalmente comunicata, può costituire inadempimento disciplinarmente rilevante.
7. Considerazioni conclusive
La reperibilità si presenta come istituto funzionale alle esigenze di continuità aziendale, ma allo stesso tempo idoneo a incidere sensibilmente sul diritto del lavoratore al riposo e alla libera autodeterminazione del proprio tempo.
La disciplina, fondata quasi esclusivamente sulla contrattazione collettiva e sull’elaborazione giurisprudenziale, evidenzia la necessità di un intervento normativo organico che, nel rispetto dei principi eurounitari e costituzionali (artt. 36 e 41 Cost.), garantisca un equilibrio tra flessibilità organizzativa e tutela della persona del lavoratore.