Con la sentenza n. 9544 del 17 aprile 2025, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta su un rilevante profilo interpretativo concernente l’ambito di applicazione delle tutele contro il licenziamento illegittimo nell’ambito delle imprese con più di quindici dipendenti, chiarendo in via nomofilattica che la mancanza o assoluta genericità della motivazione del licenziamento non integra un vizio meramente formale, bensì un vizio sostanziale idoneo a determinare l’insussistenza del fatto contestato, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970).
La Corte ha formulato il seguente principio di diritto:
“In tema di vizi della motivazione del licenziamento, nel regime delle imprese con più di 15 dipendenti, la mancata o generica individuazione del fatto non integra una mera violazione formale ma, poiché impedisce che si possa pervenire alla stessa identificazione del fatto, che, pertanto, dovrà essere dichiarato insussistente dal giudice, ha una ricaduta sostanziale che determina l’illegittimità originaria del licenziamento, con applicazione della reintegra attenuata di cui all’articolo 18, quarto comma, della legge 300/1970”.
La controversia traeva origine dal recesso intimato da una compagnia assicurativa nei confronti di un lavoratore formalmente inquadrato come titolare di partita IVA ma che, secondo i giudici di merito, svolgeva attività in regime di collaborazione coordinata e continuativa, considerata la mancanza di un progetto specifico. A fronte del reclamo proposto avverso il licenziamento, la Corte d’Appello aveva tuttavia riconosciuto esclusivamente una tutela indennitaria, liquidata nella misura massima prevista (12 mensilità), senza valorizzare adeguatamente il vizio di motivazione dell’atto espulsivo.
La Corte di legittimità ha smentito l’impostazione dei giudici di merito, ritenendo che l’assoluta genericità della motivazione resa in sede di licenziamento costituisse un vizio sostanziale, tale da precludere in radice qualsiasi valutazione del fatto giustificativo. In tal senso, ha ritenuto non applicabile il comma 6 dell’art. 18 – che presuppone comunque l’esistenza di un fatto giustificativo almeno formalmente delineato – bensì il comma 4, che sanziona l’insussistenza del fatto materiale come presupposto per l’espulsione.
Ulteriore elemento di rilievo è costituito dalla conferma da parte della Cassazione della possibilità di qualificare il rapporto in termini di subordinazione, anche in presenza di iscrizione del lavoratore in un ruolo tecnico-professionale (nella specie, ruolo dei periti assicurativi), distinta dall’iscrizione ad albi o ordini professionali, che esclude la presunzione di parasubordinazione ma non preclude l’accertamento della subordinazione di fatto e delle tutele ad essa collegate.
Accogliendo il motivo incidentale del lavoratore, la Suprema Corte ha quindi cassato la decisione di merito, ritenendo assorbita la doglianza relativa alla mancata corresponsione dell’indennità di mancato preavviso, atteso che la pronuncia sulla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato determina la nullità del recesso e la conseguente applicazione del regime sanzionatorio reintegratorio.