La recente sentenza n. 118 del 21 luglio 2024 della Corte costituzionale ha suscitato notevole attenzione in dottrina e prassi applicativa, in quanto ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015 (cd. decreto sulle tutele crescenti), nella parte in cui fissava in sei mensilità il limite massimo dell’indennità risarcitoria spettante al lavoratore licenziato illegittimamente da un datore di lavoro con meno di quindici dipendenti.
Con tale decisione, la Consulta ha ritenuto non conforme ai principi costituzionali la previsione di un tetto rigido e uniforme, reputandola lesiva del canone di ragionevolezza e del principio di tutela effettiva del lavoratore. Conseguentemente, la norma in questione perde immediata efficacia erga omnes e non può più essere applicata, neppure ai giudizi in corso.
I giudici, pertanto, in presenza di un licenziamento dichiarato illegittimo da parte di una piccola impresa, non saranno più vincolati al limite delle sei mensilità, ma dovranno determinare l’indennità risarcitoria entro la cornice minima e massima prevista dall’art. 3, comma 1, del medesimo decreto (non inferiore a tre e non superiore a diciotto mensilità).
La decisione si applica in via diretta ai rapporti instaurati successivamente al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del regime delle tutele crescenti. Tuttavia, la sentenza pone interrogativi anche in relazione ai lavoratori assunti in epoca anteriore. Per costoro, infatti, continua a trovare applicazione l’art. 8 della legge n. 604/1966, che ancora oggi prevede un limite massimo di sei mensilità.
Appare quindi probabile che la Corte, o eventualmente lo stesso legislatore, intervengano per eliminare tale disparità di trattamento, in ossequio al principio di eguaglianza e al divieto di discriminazioni irragionevoli tra categorie di lavoratori. Diversamente, si creerebbe una frattura sistematica difficilmente giustificabile.
Per le imprese con oltre quindici dipendenti la disciplina non subisce modifiche: resta ferma la disciplina ordinaria in materia di licenziamenti individuali. Tuttavia, la decisione rafforza una tendenza giurisprudenziale già in atto, che vede la Corte costituzionale progressivamente “smontare” alcune delle disposizioni più rigide del d.lgs. n. 23/2015.