La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 24416 del 2 settembre 2025, ha ribadito un principio già affermato in precedenti arresti: l’accordo con il quale il lavoratore rinuncia all’indennità sostitutiva del preavviso non è opponibile all’INPS, in quanto l’obbligo contributivo sorge nel momento stesso in cui il licenziamento senza preavviso acquista efficacia. In altri termini, la scelta del lavoratore di rinunciare a tale indennità non è idonea a comprimere il diritto dell’ente previdenziale alla contribuzione, trattandosi di un credito di natura pubblicistica, sottratto alla disponibilità delle parti (Cass., 23 luglio 2024, n. 20432).
L’orientamento si inserisce in una linea giurisprudenziale ormai consolidata, originariamente sviluppatasi intorno a pronunce della Corte d’Appello di Bologna, nelle quali l’INPS aveva rivendicato il pagamento dei contributi omessi in relazione a indennità sostitutive del preavviso mai corrisposte, nonostante la sottoscrizione di verbali di conciliazione sindacale che prevedevano la rinuncia dei lavoratori a tale indennità e la corresponsione, in loro favore, di incentivi all’esodo. In tali occasioni, la Suprema Corte ha richiamato l’art. 1 del d.l. n. 338/1989 – relativo al principio del minimale contributivo – affermando l’irrilevanza, sul piano contributivo, di eventuali accordi individuali o inadempimenti contrattuali che riducano la base imponibile (Cass., Sez. lav., 29 marzo 2023, n. 8913).
Il principio in parola non lede l’autonomia negoziale, la cui operatività resta intatta nei rapporti tra datore e prestatore di lavoro, ma trova il suo limite nella posizione di terzietà dell’INPS. Quest’ultimo, infatti, non può subire gli effetti di patti abdicativi che incidano sulla contribuzione obbligatoria, come chiaramente sancito dall’art. 2115, co. 3, c.c., che sancisce la nullità di qualsiasi patto volto ad eludere obblighi previdenziali o assistenziali.
Tuttavia, la giurisprudenza presenta profili problematici nella misura in cui tende a configurare come elusivi anche scenari differenti dal licenziamento seguito dalla rinuncia al preavviso. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui il recesso datoriale venga revocato e il rapporto di lavoro si estingua successivamente per risoluzione consensuale. In tali circostanze, la dottrina ha osservato come l’accordo estintivo – perfezionato mediante la procedura telematica prevista a fini di efficacia – non produca effetti retroattivi, sicché il presupposto del licenziamento, quale fonte dell’obbligo contributivo sull’indennità sostitutiva, viene meno. Ne consegue che la contribuzione relativa al preavviso non dovrebbe essere dovuta, posto che la fattispecie tipica (licenziamento con esonero dal preavviso) non si è mai perfezionata, mentre resta escluso l’accesso del lavoratore alla NASpI, coerentemente con la natura consensuale della cessazione.
Sotto tale profilo, appare discutibile ritenere che la sola sequenza licenziamento–revoca–risoluzione consensuale integri automaticamente un comportamento elusivo. L’elusione, infatti, non si presume: essa deve essere provata dall’ente previdenziale, ai sensi dell’art. 1344 c.c., attraverso l’allegazione di indici sintomatici di una volontà comune delle parti volta ad aggirare norme imperative. L’INPS, dunque, non può avvalersi di un automatismo interpretativo, ma deve farsi carico di un rigoroso onere probatorio.
L’attuale quadro giurisprudenziale, pur offrendo garanzie di certezza applicativa per le ipotesi di rinuncia all’indennità sostitutiva del preavviso successiva a un licenziamento, appare meno lineare quando si tratta di conciliazioni che sfociano in risoluzioni consensuali. Ne discende un invito alla cautela nella gestione delle relative fattispecie, soprattutto laddove siano coinvolte somme erogate a titolo di incentivo all’esodo.
Al momento, il problema non sembra porsi in caso di dimissioni del lavoratore con esonero dal preavviso, ambito nel quale la Cassazione (sentt. n. 27934/2021 e n. 6782/2024) ha adottato soluzioni differenti, salvo che la contrattazione collettiva disponga diversamente. Ciò non esclude, tuttavia, che l’orientamento restrittivo maturato in tema di licenziamento possa in futuro estendersi anche a tale versante, con ulteriori ricadute sistematiche.