La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7825 del 24 marzo 2025, ha statuito che è da considerarsi illegittimo il licenziamento irrogato al dipendente per un utilizzo improprio, e in particolare privato, del computer aziendale.
La Corte di Cassazione ha infatti ritenuto la misura espulsiva eccessiva e sproporzionata in mancanza di elementi che evidenziassero una volontà specificamente lesiva dei dati informatici aziendali.
La vicenda, sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità, si era già conclusa nel merito in favore del lavoratore. I giudici della Corte d’Appello avevano infatti ritenuto la condotta accertata non particolarmente grave, valutando sproporzionato il ricorso al licenziamento. Di conseguenza, avevano disposto l’applicazione delle tutele previste dall’articolo 18, comma 5, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), come modificato dalla legge 28 giugno 2012, n. 92.
Inoltre, la Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso nonché alla corresponsione della retribuzione maturata durante il periodo di sospensione cautelare del lavoratore. Avverso tale pronuncia, l’azienda ha proposto ricorso in Cassazione, cui il dipendente ha resistito mediante controricorso.
La Suprema Corte ha confermato l’impostazione dei giudici di merito, precisando che, sebbene la condotta contestata potesse astrattamente rientrare tra quelle suscettibili di giustificare un licenziamento, essa non presentava, nel caso concreto, le caratteristiche di gravità richieste per giustificare la risoluzione del rapporto.
I giudici di legittimità hanno infatti valorizzato alcuni elementi del comportamento effettivamente tenuto dal dipendente e delle sue conseguenze, tra cui: la limitata frequenza delle violazioni (due episodi analoghi) e l’assenza di qualsiasi intento specificamente pregiudizievole per l’integrità del patrimonio informatico aziendale. Sulla base di tali elementi, la Corte ha escluso la sussistenza di una lesione tale da compromettere in modo irreversibile il vincolo fiduciario.
In conclusione, la Cassazione ha ribadito il seguente principio:
“In materia di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione rispetto all’illecito commesso – riservato al giudice di merito – consiste nella valutazione della gravità dell’inadempimento addebitato al lavoratore in relazione al concreto rapporto. Tale inadempimento deve essere apprezzato in maniera accentuata rispetto al criterio generale della ‘non scarsa importanza’, di cui all’articolo 1455 del codice civile, con la conseguenza che la massima sanzione disciplinare è giustificabile solo in presenza di un inadempimento particolarmente rilevante, tale da rendere impossibile, anche solo provvisoriamente, la prosecuzione del rapporto di lavoro.”