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Secondo la Corte di Cassazione, sentenza n. 13525 del 20 maggio 2025, deve escludersi che le condizioni di maggior favore previste da un patto individuale di lavoro, ai sensi dell’art. 2120, ultimo comma, c.c., possano legittimamente tradursi nell’erogazione mensile dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) in assenza di una specifica e determinata causale.

Il sistema legale dell’anticipazione del T.F.R. si fonda, infatti, su presupposti tassativi:

a) sussistenza di causali tipiche e determinate;

b) possibilità di concessione dell’anticipazione una sola volta (una tantum);

c) limite massimo pari al 70% del T.F.R. maturato;

d) anzianità minima di servizio pari ad otto anni;

e) limiti quantitativi annuali alle richieste accoglibili da parte del datore di lavoro (10% degli aventi diritto e comunque non oltre il 4% del numero complessivo dei dipendenti).

Le condizioni di miglior favore cui fa riferimento l’ultimo comma dell’art. 2120 c.c. devono essere intese come deroghe di miglior favore rispetto ai presupposti sopra richiamati, ma non possono in alcun modo determinare uno stravolgimento della ratio e della struttura del meccanismo dell’anticipazione del T.F.R.

Pertanto, mentre è ammissibile un patto che preveda, ad esempio, causali ulteriori o limiti quantitativi più favorevoli per il lavoratore, non è invece legittima la previsione di un’erogazione frazionata su base mensile e, per di più, sganciata da qualunque causale.

L’erogazione continuativa e mensile dell’anticipazione in busta paga altera la natura dell’istituto, trasformando un’eccezione finalizzata a soddisfare bisogni straordinari del lavoratore in una modalità ordinaria e permanente di corresponsione del T.F.R., in evidente contrasto con il disposto normativo che prevede l’accantonamento mensile fino alla cessazione del rapporto.