La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 8375 del 30.03.2025, ha rimesso alla pubblica udienza decisione sulla questione riguardante il diritto del titolare dell’assegno di divorzio a ricevere una quota del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) dell’ex coniuge, anche quando quest’ultimo venga destinato a un fondo di previdenza complementare.
Secondo la Corte, infatti, si tratta infatti di una questione di “particolare rilevanza nomofilattica” e di “diffusa possibilità applicativa”, che non può essere risolta in Camera di Consiglio.
In primo grado, il Tribunale di Lodi aveva condannato l’ex marito a versare una somma pari a € 98.515,00 come quota sul TFR. Tuttavia, la Corte d’Appello di Milano aveva riformato tale decisione, stabilendo che non era dovuto alcun pagamento. La Corte d’Appello ha motivato la propria decisione sostenendo che la formulazione dell’art. 12 bis della legge n. 898 del 1970 impone di limitare l’importo dell’assegno divorzile alla somma percepita dall’ex coniuge al momento della cessazione del rapporto.
In altre parole, la Corte d’Appello ha affermato che, sebbene il TFR abbia una natura retributiva, il TFR conferito dal datore di lavoro a un fondo di previdenza complementare, e successivamente erogato al lavoratore, ha una natura previdenziale. Inoltre, il TFR viene ricevuto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, mentre le somme erogate dal Fondo Pensionistico sono erogate solo quando il lavoratore raggiunge i requisiti necessari per la pensione. Infatti, l’ex marito ha iniziato a ricevere una rendita vitalizia solo una volta pensionato, una prestazione ben diversa dal TFR.
D’altra parte, la ex moglie ha sostenuto che la Corte d’Appello ha violato l’articolo 12 bis della legge n. 898 del 1970, che prevede il diritto della moglie divorziata di ricevere una quota del TFR maturato durante il matrimonio, anche se il TFR fosse stato destinato a un fondo di previdenza complementare poco prima del pensionamento, considerandolo come una finalità aggiratoria.
La Corte di Cassazione ha ricordato che esiste una sola pronuncia di legittimità sulla questione, che ha respinto il ricorso contro una decisione della Corte d’Appello che aveva accolto una domanda simile (sentenza n. 12882/2017). Secondo la sentenza impugnata, l’articolo 12 bis della legge 898/1970 riconosce al coniuge divorziato titolare di un assegno divorzile il diritto alla quota del TFR “percepito” al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, nel caso in cui il TFR venga destinato a un fondo di previdenza complementare, la liquidazione non avviene alla cessazione del rapporto di lavoro, ma quando il lavoratore raggiunge i requisiti per la pensione. In questo caso, il TFR mantiene la sua natura retributiva, ma se conferito a un fondo previdenziale, diventa una prestazione previdenziale.
In sintesi: fino a quando il TFR non viene trasferito al fondo, le contribuzioni e le quote di TFR maturato che rimangono presso il datore di lavoro hanno natura retributiva. Tuttavia, la prestazione erogata dal Fondo Pensionistico ha natura previdenziale.
La Suprema Corte dovrà ora risolvere il seguente quesito: “Se, tenendo conto che la destinazione del TFR non modifica i diritti e gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, e non incide sulle modalità di erogazione delle indennità di fine rapporto, come affermato dalla stessa Corte, il titolare dell’assegno divorzile abbia diritto a ricevere una quota del TFR maturato dall’ex coniuge anche nel caso in cui quest’ultimo decida di trasferire l’intero TFR in un fondo di previdenza complementare. Oppure, se tale scelta comporti l’esclusione del diritto previsto dall’art. 12 bis della legge n. 898 del 1970, con l’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile che non riceverà alcuna indennità di fine rapporto, ma solo un capitale o una rendita periodica che ha natura previdenziale e non retributiva.”