Con ordinanza n. 10822 del 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha ribadito l’inutilizzabilità, ai fini disciplinari e probatori, delle registrazioni audiovisive acquisite in violazione della normativa vigente in materia di controllo a distanza dei lavoratori, sancendo l’illegittimità del licenziamento disciplinare fondato su tale materiale. La pronuncia rigetta il ricorso presentato da una società operante nel settore dell’alta moda, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva disposto la reintegrazione della lavoratrice e la corresponsione della relativa indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
1. Il quadro normativo: art. 4 Statuto dei lavoratori e art. 5 L. 604/1966
La Corte ha chiarito che i controlli difensivi del datore di lavoro, anche quando volti alla tutela del patrimonio aziendale, non possono eludere le garanzie previste dall’art. 4 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), se non in presenza di un fondato sospetto di condotte illecite addebitabili a uno o più dipendenti. È stato escluso che tale fondato sospetto potesse, nel caso di specie, essere sostituito da un mero convincimento soggettivo di un collega, non supportato da elementi oggettivi antecedenti all’attivazione dei controlli.
Secondo la Corte, è onere del datore di lavoro allegare e provare, ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966, la sussistenza degli elementi fattuali che abbiano giustificato l’installazione (o l’utilizzo) di strumenti di controllo ex post, fuori dal perimetro ordinario di applicazione dell’art. 4 St. lav., pena l’inutilizzabilità del materiale così raccolto.
2. La perquisizione personale e la violazione della dignità del lavoratore
La Corte ha ritenuto altresì illecita l’attività posta in essere dal collega della dipendente, che – approfittando dell’assenza della stessa – si era introdotto nel suo ufficio per cercare “tracce” di eventuali illeciti, violando oggetti personali (nella specie, una borsa). Tale condotta è stata qualificata come grave violazione della disciplina a tutela della dignità e riservatezza del lavoratore, nonché espressione di una indebita attività di indagine privata, priva di qualsiasi legittimazione normativa o aziendale.
3. I limiti dei controlli generalizzati tramite impianti audiovisivi
La Corte di merito, nel confermare l’impostazione del giudice di primo grado, ha correttamente ricondotto le videoregistrazioni all’interno della categoria dei controlli difensivi cd. “indiscriminati”, in quanto non riferiti a comportamenti specifici di un singolo dipendente ma rivolti in via generale al personale. Ne ha pertanto sancito l’inutilizzabilità per violazione:
- dell’art. 4 della legge 300/1970, per mancanza di informazione preventiva ai lavoratori e mancata stipula dell’accordo sindacale ovvero del provvedimento autorizzativo dell’Ispettorato del lavoro;
- degli obblighi informativi di cui agli articoli 13 e 114 del D.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).
4. Conseguenze giuridiche
In assenza di prove legittimamente acquisite, la datrice di lavoro non ha assolto all’onere probatorio in ordine alla sussistenza di una giusta causa di recesso. Tale accertamento, avendo natura di valutazione in fatto, è sottratto al sindacato di legittimità della Corte di Cassazione.
La pronuncia conferma così un orientamento rigoroso della giurisprudenza di legittimità in materia di controlli tecnologici e disciplina del licenziamento, riaffermando la centralità delle garanzie statutarie e costituzionali a tutela della dignità del lavoratore, anche in presenza di esigenze difensive datoriali.