Con sentenza n. 10648 del 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affermato un principio di diritto in materia di reperibilità notturna, chiarendo che la stessa – soprattutto quando comporti l’obbligo di permanenza presso la sede aziendale – rientra a pieno titolo nella nozione di “orario di lavoro” ai sensi della normativa nazionale ed europea, con conseguente obbligo datoriale di corrispondere un’adeguata compensazione economica, anche in assenza di prestazioni effettive.
La Corte ha annullato la pronuncia della Corte d’Appello che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto che le modalità di servizio rese dal lavoratore (pari a circa 40 ore settimanali di presenza notturna presso la struttura) si configurassero come mera reperibilità con pernottamento, ai sensi del CCNL delle cooperative sociali, escludendone la qualificazione come lavoro straordinario notturno e omettendo una valutazione circa l’adeguatezza della retribuzione corrisposta.
La Cassazione, pur confermando che non sussiste un diritto automatico alla retribuzione ordinaria o straordinaria in caso di mancato svolgimento di attività lavorativa concreta, ha tuttavia ribadito il principio per cui il tempo in cui il lavoratore è obbligato a permanere sul luogo di lavoro – seppur in regime di mera disponibilità – deve essere qualificato come “orario di lavoro”. Ciò in ossequio alla direttiva 2003/88/CE e alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, secondo la quale l’elemento determinante è la messa a disposizione del lavoratore per finalità produttive, e non la sussistenza di un’attività lavorativa effettiva.
La disponibilità a intervenire, laddove richiesta, comporta una sostanziale compressione del diritto al tempo libero e alla vita familiare del lavoratore, e pertanto impone il riconoscimento di un adeguato trattamento economico indennitario, anche in assenza di prestazioni rese. La distinzione concettuale tra “orario di lavoro” e “periodo di riposo” è da considerarsi assoluta e non suscettibile di modulazioni, come ribadito dalla Corte, che ha richiamato i principi costituzionali in tema di tutela della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore (artt. 36 e 41 Cost.), nonché il diritto del lavoro dell’Unione europea.
È dunque legittimo che la contrattazione collettiva preveda una modulazione retributiva differenziata per la reperibilità, a seconda che durante il periodo di disponibilità si sia o meno effettuata una prestazione, ma non è consentita l’esclusione tout court di qualsivoglia riconoscimento economico, come invece accaduto nella fattispecie oggetto del giudizio d’appello.
In definitiva, la reperibilità con obbligo di permanenza presso la sede aziendale integra pienamente il concetto di “orario di lavoro”, e ciò comporta che il datore di lavoro sia tenuto a corrispondere al dipendente un trattamento economico proporzionato e adeguato, sebbene non necessariamente equivalente a quello previsto per il lavoro straordinario notturno. Il mancato riconoscimento di una simile indennità costituisce violazione del diritto del lavoro nazionale e unionale.