Skip to content Skip to footer

Il concetto di crisi d’impresa e le ricadute occupazionali

Definizione di crisi d’impresa

La crisi d’impresa si configura come una situazione di squilibrio economico-finanziario non temporaneo, tale da compromettere la continuità aziendale e potenzialmente sfociare in stato d’insolvenza, se non affrontata con interventi tempestivi e adeguati.

In tale contesto, l’imprenditore è chiamato a compiere scelte organizzative, anche sul piano del personale, per fronteggiare la crisi e prevenirne l’aggravamento. Il nostro ordinamento mette a disposizione diversi strumenti per la gestione di tali criticità, con l’obiettivo di intervenire in via anticipata e preventiva, prima dell’accesso a procedure concorsuali.

Obblighi organizzativi e misure di risanamento

Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), ha inserito nel Codice Civile, all’art. 2086, secondo comma, l’obbligo per l’imprenditore di:

  • Dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, coerente con natura e dimensioni dell’impresa;
  • Adottare tutte le misure idonee per rilevare tempestivamente lo stato di crisi e attivarsi per il superamento della stessa.

    Riorganizzazione del personale in ottica di crisi

Tra le misure attuabili, si distinguono:

  • Interventi gestionali, volti a mantenere il rapporto di lavoro, eventualmente modificandone le modalità (es. orario, sede, mansioni);
  • Interventi ristrutturativi, che possono comportare una riduzione dell’organico o una sua riqualificazione.

    Consultazioni sindacali obbligatorie (art. 4, co. 3, Codice Crisi)

Il Codice della Crisi ha previsto nuove obbligazioni a carico dei datori di lavoro con più di 15 dipendenti, che intendano adottare misure organizzative rilevanti per una pluralità di lavoratori, anche se non finalizzate direttamente al licenziamento. In tali casi è obbligatoria la consultazione sindacale preventiva, a prescindere dall’avvio di procedure concorsuali

La gestione del personale in crisi: la procedura di mobilità ex L. 223/1991

Finalità

La procedura di mobilità, disciplinata dalla L. 223/1991, è finalizzata a:

  • Favorire il reimpiego dei lavoratori;
  • Garantire un sostegno al reddito in caso di licenziamenti collettivi.

    Due tipologie di licenziamento collettivo
  1. Licenziamento per collocamento in mobilità (art. 4 L. 223/1991)
    Riguarda imprese che ricorrono alla CIGS in presenza di un piano di crisi o ristrutturazione. Se, alla fine del periodo di integrazione salariale, non riescono a riassorbire tutti i lavoratori sospesi, possono avviare la procedura di mobilità.
  2. Licenziamento collettivo per riduzione del personale (art. 24 L. 223/1991)
    Si applica ai datori di lavoro con almeno 16 dipendenti, che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti in un arco di 120 giorni, anche senza ricorso preventivo alla CIGS.

Le modifiche introdotte dalla Riforma Fornero e dal Jobs Act

La Legge 92/2012 (Riforma Fornero) e il D.Lgs. 22/2015 (Jobs Act) hanno:

  • Sostituito i termini “mobilità” e “collocamento in mobilità” con “licenziamento collettivo”;
  • Soppresso, dal 1° gennaio 2017, il sistema delle liste di mobilità e la relativa indennità;
  • Introdotto nuovi strumenti previdenziali: Aspi, Mini-Aspi e successivamente NASpI, operativa dal 1° maggio 2015.


    La disciplina attuale del licenziamento collettivo

Oggi, il licenziamento collettivo si configura come istituto autonomo, distinto dal licenziamento individuale, e caratterizzato da:

  • Requisiti dimensionali (più di 15 dipendenti);
  • Requisiti numerici e temporali (almeno 5 licenziamenti in 120 giorni);
  • Controllo sindacale e pubblico preventivo, attraverso la procedura ex art. 4 L. 223/1991;
  • Criteri oggettivi di scelta (art. 5), legati a esigenze tecnico-produttive e organizzative.


    Il controllo giudiziale

Il giudice è chiamato a verificare:

  • La regolarità formale della procedura;
  • Il rispetto dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare;
  • La correttezza dell’intero iter, più che la validità sostanziale delle ragioni economiche.