La malattia dei dipendenti rappresenta un evento che le aziende, in particolare quelle di grandi dimensioni, devono affrontare periodicamente. Essa consiste in un’alterazione dello stato di salute che impedisce temporaneamente al lavoratore di svolgere le proprie mansioni. Sebbene non dipenda dalla volontà del dipendente, la malattia porta alla sospensione temporanea del rapporto di lavoro, ovvero dell’obbligo di prestare la propria attività lavorativa. Tuttavia, la legge prevede che, nella maggior parte dei casi, il lavoratore abbia diritto a una indennità economica a carico dell’INPS. Inoltre, in base al contratto collettivo applicato, il datore di lavoro è spesso obbligato a integrare tale indennità, così da garantire al lavoratore una retribuzione simile a quella che avrebbe percepito se avesse continuato a lavorare regolarmente. L’ordinamento impone anche al dipendente l’obbligo di fornire certificazioni mediche relative alla malattia e di rimanere reperibile durante il periodo di assenza, al fine di mantenere il diritto al trattamento economico.
La Malattia: Definizione e Differenze con le Malattie Professionali
La malattia, in particolare, consiste in una condizione patologica che impedisce temporaneamente al lavoratore di svolgere le proprie attività lavorative. Ai sensi dell’articolo 2110 del codice civile, la malattia è definita come “ogni alterazione patologica in atto di organi e delle loro funzioni che, a causa dei sintomi manifestati e degli effetti sull’organismo del lavoratore, rende impossibile l’esecuzione della prestazione lavorativa, in quanto incompatibile con l’espletamento delle attività necessarie al lavoro” (Cass. 23 settembre 1987, n. 7279; Cass. 30 luglio 1987, n. 6632).
È fondamentale sottolineare che la malattia si distingue dalla malattia professionale, poiché quest’ultima ha origine da cause legate direttamente all’attività lavorativa.
Per essere considerata malattia, l’incapacità lavorativa deve essere concreta, ossia, deve essere effettuata una valutazione che metta in relazione la condizione patologica del lavoratore con le specifiche mansioni che svolge ed attuale, cioè, l’incapacità non deve essere solo una possibilità futura, ma deve essere effettivamente presente, impedendo al lavoratore di continuare a svolgere la propria attività lavorativa.
La malattia sospende l’obbligo di prestare lavoro, senza che il datore di lavoro possa considerarla come inadempimento. Questo implica che il datore di lavoro non può recedere dal contratto durante il periodo di malattia. Una delle principali tutele previste per il lavoratore malato è infatti la conservazione del posto di lavoro per un periodo definito, noto come “comporto”.
Un altro diritto fondamentale che discende dalla Costituzione (articolo 38) è quello del lavoratore di ricevere un trattamento economico durante la malattia, ovvero una prestazione assistenziale che garantisca una continuità nella retribuzione. L’articolo 38 recita infatti: “I lavoratori hanno diritto a che siano previsti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione involontaria.”
Questa tutela trova il suo fondamento anche nell’articolo 32 della Costituzione, che garantisce il diritto alla salute.
Il Periodo di Comporto: Conservazione del Posto e Durata
Il periodo di comporto è il lasso di tempo durante il quale il lavoratore malato ha diritto a mantenere il posto di lavoro, come stabilito dal codice civile, dai contratti collettivi o dalle consuetudini aziendali. Durante tale periodo, il dipendente non può essere licenziato, salvo casi di giusta causa. La durata di questo periodo varia in base alle disposizioni del contratto applicato, ma generalmente è di 180 giorni per anno civile. Il comporto si distingue in: Comporto “secco”: che riguarda un singolo episodio morboso continuativo e Comporto “per sommatoria” o “frazionato”: che riguarda più episodi di malattia intermittenti, che si sommano entro un determinato periodo di tempo.
La durata del comporto tiene conto anche dei giorni non lavorativi (sabati, domeniche, festività), salvo alcune eccezioni come malattie dovute a cause imputabili al datore di lavoro o infortuni legati alla gravidanza.
Licenziamento e Malattia: Norme e Condizioni
Una volta superato il periodo di comporto, il datore di lavoro può procedere con il licenziamento del lavoratore, se quest’ultimo è ancora assente per malattia. In questo caso, non è necessario alcun addebito disciplinare, ma è sufficiente il superamento del periodo di comporto. Tuttavia, il licenziamento deve rispettare il periodo di preavviso previsto dal contratto e la comunicazione del licenziamento deve essere tempestiva. Un comportamento passivo da parte del datore di lavoro potrebbe essere interpretato come una rinuncia al licenziamento. Se la comunicazione di licenziamento avviene durante il periodo di comporto, il licenziamento è valido ma inefficace fino alla fine della malattia o del periodo di comporto.
Aspettativa e Lavoratori con Disabilità
Al termine del periodo di comporto, alcuni contratti collettivi prevedono che il lavoratore possa chiedere un periodo di aspettativa non retribuita. Se il dipendente non rientra al lavoro al termine di tale periodo, il datore può procedere con il licenziamento. Inoltre, per i lavoratori disabili, il licenziamento per superamento del periodo di comporto potrebbe costituire una discriminazione indiretta. Infatti, le assenze legate alla disabilità potrebbero esporre questi lavoratori a un rischio maggiore di superamento del comporto, con possibili implicazioni legali. In tali casi, la legge stabilisce che non devono essere conteggiati i periodi di malattia legati alla disabilità, come nel caso di lavoratori assunti ai sensi della Legge 68/1999.