La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11248 del 28 aprile 2023, ha statuito che “è meritevole di limitazione risarcitoria la società che irroga un licenziamento illegittimo sulla scorta del giudizio, errato, di inidoneità fisica della lavoratrice allo svolgimento dell'attività lavorativa, formulato da struttura sanitaria pubblica sulla base dell'articolo 5, comma 3, della legge 300/1970”.
Il caso trae origine dal licenziamento di una dipendente per giustificato motivo oggettivo, stante la sopravvenuta inidoneità fisica della lavoratrice all'espletamento delle sue mansioni di fisioterapista, accertata secondo l'articolo 5 della legge 300/1970 dal dipartimento di medicina generale dell'Asl competente, reso sia in prima istanza sia a seguito di ricorso della lavoratrice.
Tuttavia sia il Tribunale che la Corte d'Appello hanno dichiarato l'illegittimità del licenziamento e condannato la società al risarcimento del danno nella misura della retribuzione maturata dal licenziamento sino all'effettiva reintegra, in base all'articolo 18 della legge 300/1970 applicabile ratione temporis, in quanto il provvedimento dell'Asl, posto alla base del licenziamento, non era stato ritenuto corretto, sia in primo che in secondo grado, a seguito delle risultanze della CTU medico legale disposta nei giudizi.
La Suprema corte, accogliendo il ricorso della società che contestava l'applicazione dell'articolo 18 solo dal punto di vista della determinazione degli effetti risarcitori conseguenti all'illegittimità del licenziamento, ha cassato la sentenza alla Corte d'Appello, con rinvio in diversa composizione.
La Corte d'appello ha riformato la sentenza riducendo il risarcimento a cinque mensilità, rilevando la sussistenza dei presupposti per la limitazione risarcitoria, in quanto la società aveva fornito prova che l'inadempimento era conseguito ad impossibilità della prestazione a essa non imputabile, perché il licenziamento venne intimato sulla scorta del giudizio di inidoneità fisica della lavoratrice allo svolgimento dell'attività lavorativa formulato da struttura sanitaria pubblica.
La lavoratrice ha impugnato la sentenza in Cassazione contestando la violazione dell'articolo 18 da parte della Corte d'appello per aver ritenuto l'inadempimento datoriale non imputabile al medesimo in virtù del giudizio dell'Asl.
La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, rilevando che il licenziamento era stato irrogato sulla base di un provvedimento emesso non già dal medico aziendale, ma direttamente da struttura sanitaria pubblica certificante e reso peraltro sia in prima istanza sia a seguito di ricorso della lavoratrice.
Di conseguenza, la società non poteva non tener conto dell'autorità e della posizione di terzietà della struttura pubblica e non avrebbe potuto certamente disattendere le valutazioni e così adibire la lavoratrice alle mansioni per le quali, secondo la Asl, era inidonea, se non esponendosi evidentemente al grave rischio della responsabilità per danno alla salute.
Inoltre la Cassazione ha ritenuto opportuno evidenziare che la Corte territoriale aveva correttamente richiamato taluni precedenti di legittimità ritenuti espressivi di una limitazione della responsabilità risarcitoria datoriale a cinque mensilità in ipotesi analoghe.