LICENZIAMENTO PER GMO ED OBBLIGO DI REPECHAGE

Corte di Cassazione, ordinanza n. 18904 del 10.07.2024

21-08-2024

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è legittimo se il datore di lavoro, dopo aver dichiarato la soppressione della posizione lavorativa, non offre al dipendente la possibilità di ricollocarsi in altre mansioni presenti in azienda, anche se queste sono inferiori o a tempo determinato. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18904/2024, conferma una tendenza ormai consolidata che limita sempre di più la possibilità per i datori di lavoro di recedere dal contratto per motivi organizzativi.

Nel caso esaminato, un datore di lavoro ha avviato la procedura di conciliazione preventiva presso l’Ispettorato del lavoro e successivamente licenziato un dipendente per giustificato motivo oggettivo, dichiarando di non poterlo ricollocare in posizioni equivalenti all'interno dell'azienda. Il licenziamento è stato giudicato legittimo sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello, che hanno ritenuto sufficiente dimostrare che la società non aveva assunto nuovo personale a tempo indeterminato per ruoli equivalenti.

Tuttavia, la Cassazione ha respinto questa interpretazione, ritenendola non conforme alla normativa e alla giurisprudenza consolidata. La Corte ha elencato una serie di motivi a sostegno della sua conclusione.

In primo luogo, la Cassazione ha stabilito che l’onere della prova a carico del datore di lavoro non si limita all’impossibilità di ricollocare il dipendente in mansioni equivalenti, ma si estende anche a posizioni inferiori. Il datore di lavoro, al momento del licenziamento, deve dimostrare che non esistano altre mansioni in cui il lavoratore possa essere utilmente ricollocato, tenendo conto dell’organizzazione aziendale esistente in quel momento (come già affermato in Cassazione 13116/2015).

In linea con questa interpretazione, la Corte ha sottolineato che il datore di lavoro avrebbe dovuto offrire al dipendente anche mansioni inferiori, prospettando un eventuale demansionamento. Solo se il lavoratore avesse rifiutato tale soluzione, il datore avrebbe potuto procedere con il licenziamento, in base ai principi di correttezza e buona fede.

In altre parole, per evitare l’annullamento del licenziamento, il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare, in modo oggettivo e tenendo conto della specifica storia professionale del dipendente, che quest'ultimo non fosse in grado di svolgere le mansioni alternative disponibili.

La Corte ha anche chiarito che non ha importanza se le mansioni alternative erano di tipo operaio, piuttosto che impiegatizio come quelle precedentemente svolte dal lavoratore, a meno che non fosse dimostrato che il dipendente non fosse in grado di eseguire tali mansioni inferiori.

La Cassazione ha concluso che, in base all’articolo 3 della legge 604/1966, il licenziamento per motivo oggettivo è illegittimo se, al momento del recesso, esistono posizioni alternative, anche di livello inferiore o a tempo determinato, e il datore di lavoro non offre al dipendente la possibilità di ricollocarsi in queste mansioni.

Questo orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, ha un impatto significativo sull’organizzazione aziendale, rendendo il cambio di mansioni, sia equivalenti che inferiori, un processo complesso.