CIG E MANCATA ROTAZIONE DEL LAVORATORE: RISARCIMENTO DEL DANNO E RELATIVA TASSAZIONE 

Corte di Cassazione, ordinanza n. 10267 del 16 aprile 2024

14-05-2024

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10267 del 16 aprile 2024, ha respinto il ricorso di una società datrice di lavoro che aveva sospeso una lavoratrice per un periodo di almeno tre anni a seguito di cassa integrazione guadagni straordinaria senza rotazione, condannandola a corrispondere alla dipendente, in via equitativa, una somma pari al 30% della retribuzione mensile netta dalla stessa percepita, a titolo di danno alla professionalità, per tutto il periodo di illegittima sospensione in CIG.

La decisione della Corte sancisce che la forzata inattività per apposizione in cassa integrazione della dipendente in possesso di caratteristiche professionali che le avrebbero consentito la rotazione con le altre funzioni del suo settore di appartenenza, cagiona, oltre ad un danno all’immagine professionale, anche un depauperamento del patrimonio professionale e conseguentemente della ricollocabilità sul mercato del lavoro.

Secondo l’ordinanza in commento, il danno alla professionalità - per sua natura plurioffensivo - richiesto dalla lavoratrice è ovviamente un danno diverso dalla mancata percezione della retribuzione per illegittima collocazione in cassa integrazione; mentre il primo è infatti legato alla perdita della professionalità, dell’immagine professionale e della dignità lavorativa, il secondo è di natura esclusivamente patrimoniale e deriva dalla mancata corresponsione e percezione della retribuzione stabilita dal contratto.

La Suprema Corte ha quindi confermato la sentenza della Corte territoriale, secondo la quale il depauperamento del patrimonio professionale, di per se stesso lesivo dell’immagine e della dignità della lavoratrice, determina un danno patrimoniale alla professionalità che per giurisprudenza consolidata è liquidato prendendo a riferimento una quota della retribuzione, nella fattispecie individuato nella misura del 30%, escludendo invece il danno esistenziale, morale e biologico per difetto di adeguata allegazione e prova.

Qual è però il trattamento fiscale delle somme riconosciute alla lavoratrice, volte a ristorare il danno patrimoniale alla professionalità?

L’analisi muove necessariamente dai disposti dell’art. 6, comma 2, del TUIR (DPR n. 917/1986) secondo il quale “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, (…), e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati”.

Devono quindi essere assoggettate a tassazione le indennità e le somme corrisposte a titolo risarcitorio, allorquando esse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente essendo erogate al fine di supplire al proprio mancato guadagno (cd. lucro cessante) sia presente che futuro.

Non assumono invece rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (cd. danno emergente) (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzioni 24 maggio 2002, n. 155/E; 7 dicembre 2007, n. 356/E; 22 aprile 2009, n. 106/E; 15 febbraio 2018, n. 16/E).

Nel caso di specie le somme erogate per effetto dell’ordinanza 16 aprile 2024, n. 10267, essendo correlate al depauperamento del patrimonio professionale e conseguentemente alla ricollocabilità sul mercato della lavoratrice, adeguatamente provati nel corso del giudizio, sono volte a ristorare il danno di natura professionale, connesso alla perdita della professionalità, dell’immagine professionale e della dignità lavorativa.

In questa logica, le somme erogate sono quindi afferenti ad un danno emergente e, come tale, escluse da imposizione.

In tale prospettiva si è espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 2472/2021, secondo la quale: “Il danno non patrimoniale alla professionalità, patito dal lavoratore in conseguenza della grave lesione dei propri diritti costituzionalmente garantiti, va ascritto alla categoria del danno emergente, sicché la relativa liquidazione giudiziale deve essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali, essendo soggette a tassazione, tra le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi”.