EXCURSUS STORICO
Nel 2009 l’Inps avviò la c.d. operazione Poseidone, con la quale intendeva ottenere dai soci di società commerciali (e di servizi più in generale), che rivestissero anche la carica di amministratori, la doppia contribuzione previdenziale: alla Gestione Separata, fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nata con la L. 335/95, in quanto amministratori, e alla Gestione Commercianti, in quanto soci.
Il fondamento normativo della citata operazione posava sull’interpretazione dell’art. 1, co. 202-208, legge 662/1996, fatta propria dall’Istituto previdenziale che pretendeva di assoggettare a contribuzione tutti gli utili dell’impresa, persino quelli non distribuiti.
Questo suscitò immediatamente il sorgere di molti contenziosi che, dopo qualche tempo, trovarono soluzione poggiando sulla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 3240/2010, che, sancendo il principio dell’unicità della contribuzione da versarsi in favore della gestione corrispondente alla prevalente attività espletata (quindi o di socio, o di amministratore), sconfessò le ragioni dell’Inps.
Tuttavia, quando tutto sembrava chiarito a favore dei contribuenti, intervenne il legislatore con il d.l. n. 78/2010 che, all’art. 12, dava interpretazione autentica proprio dei commi 202-208 della legge sopra menzionata: “le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all'assicurazione prevista per l'attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell'Inps”.
Ciò sancì, si comprende, il ritorno alla doppia contribuzione.
Orbene, un’interpretazione autentica di una norma, proprio in virtù della sua funzione di chiarire ed individuare tra diverse possibili strade quella che rispecchia la volontà del legislatore che l’ha concepita, ha efficacia ex tunc, ovvero retroagisce nel tempo (cfr. Cass. SS. UU. sent. n. 17076/2011; Cost. sent. 15/2012).
Di conseguenza, anche le pregresse situazioni che coinvolgevano i soci-amministratori divenivano irregolari e l’Istituto si attivò per recuperare le contribuzioni non corrisposte.
L’unico ostacolo era rappresentato dalla specifica disciplina della gestione commercianti che richiede che quella svolta dal socio nell’impresa commerciale sia la sua attività prevalente, rispetto ad ogni altra sua attività economica o personale.
Per conseguire il suo scopo, l’Inps spulciò tutte le dichiarazioni dei redditi dei contribuenti che avevano dichiarato a fini fiscali tale prevalenza, poiché era convinto che quella dichiarazione avesse natura confessoria, quindi non soggetta ad alcuna prova atta a smentirla.
Tuttavia, i contribuenti presentarono opposizione agli avvisi di accertamento notificati dall’Istituto, sia per l’insussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi di iscrizione d’ufficio alla gestione commercianti, sia per l’inutilizzabilità della dichiarazione espressa a fini fiscali sull’attività prevalente svolta.
Questi presupposti trovarono vittorioso riscontro sia nel giudizio di legittimità, sia in quello di merito.
Per il primo, la Corte di Cassazione, con la sent. n. 3145/2013, ha sancito che il presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è che vi sia un esercizio commerciale e la gestione dello stesso.
Per il secondo, la Corte d’Appello di Milano nelle sentenze n. 677 e 766/2015, stabilisce che incombe sull’Inps l’onere probatorio della prevalente e abituale attività svolta dal socio all’interno dell’impresa commerciale da lui amministrata, senza il soddisfacimento del quale non sussiste alcun obbligo di contribuzione alla gestione commercianti (come socio), ma solo alla gestione separata per il ruolo di amministratore.
IL CASO CONCRETO
Quasi a sunto di quanto sino a qui si è descritto, interviene la recentissima sentenza del Tribunale di Forlì, la n. 6 del 15/01/2016 che ha deciso l’opposizione a tre avvisi di addebito dell’Inps in senso favorevole al contribuente.
Infatti, si legge, è a carico dell’Inps dimostrare che l’amministratore svolga realmente, in modo personale, abituale e prevalente, l’attività commerciale propria dell’azienda e non si limiti a svolgere le sole limitate attività connesse all’espletamento dei compiti connessi alle cariche amministrative ricoperte.
Inoltre, è privo di alcun rilievo probatorio che il contribuente abbia sbarrato la casella della dichiarazione fiscale corrispondente alla dichiarazione per cui l’attività svolta per conto della società era la sua attività prevalente, al contrario dovendo l’Istituto addurre diversa prova per sostenere l’abitualità e la prevalenza del lavoro aziendale svolto.
Si resta in attesa di ulteriori sviluppi giurisprudenziali, tenendo conto che molte cause simili arriveranno a sentenza nel prossimo periodo.