L’art. 2 della legge n. 604/66 così dispone: “Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti”.
La forma scritta richiesta per l’atto di licenziamento non ha subito sostanziali modifiche né a seguito della riforma Fornero (L. n. 92/2012) né con il recente Jobs Act (d. lgs. attuativo n. 23/2015).
Orbene, merita senz’altro precisare, per evitare di incappare in errori, quale sia la posizione della giurisprudenza nomofilattica (Corte di Cassazione), in riferimento a due distinti momenti della fattispecie licenziamento: l’atto contente la manifestazione di voler recedere dal rapporto ed il mezzo con cui concretamente si trasmette questo atto.
Per il primo aspetto la volontà di recesso non può che essere redatta per iscritto, così come stabilito dall’art. 2 della legge citata, mentre per il secondo non è espressamente disciplinato il mezzo materiale di trasmissione, che può avvenire per corriere, per servizio postale, consegnata a mani, etc.
A tal proposito, un serio problema si pone quando il lavoratore si rifiuta di sottoscrivere per ricevuta la copia della lettera di recesso in consegna.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11479 del 3 giugno 2015, si è pronunciata in materia risolvendo un contraddittorio tra una società che sosteneva di aver consegnato al lavoratore copia del recesso e quest’ultimo, che a monte negava di aver mai ricevuto lettere e/o tentativi di consegna a mani dell’atto di licenziamento, contrastando la testimonianza dei tre responsabili incaricati dalla datrice.
Argomenta la Corte che il licenziamento, essendo atto unilaterale e avendo natura recettizia, produce i propri effetti quando sia giunto a conoscenza del destinatario, conoscenza presunta ex art. 1335 c.c., quando l'atto sia pervenuto al suo indirizzo o gli sia stato materialmente consegnato a mani proprie, circostanza, quest'ultima, che può essere dimostrata, ad esempio, dalla sottoscrizione per ricevuta apposta in calce alla lettera medesima o anche attraverso prova testimoniale.
Orbene, qualora sia contestata la sola modalità di trasmissione della lettera, nel senso che il lavoratore ne assume il mancato invio, mentre l’azienda sostiene il rifiuto dello stesso alla ricezione della consegna a mani, essa è suscettibile di essere provata anche mediante prova testimoniale perché è pacifica per ambo le parti la tempestiva redazione per iscritto della lettera di licenziamento (cfr. Cass. sent. n. 23061 del 5 novembre 2007).
Al contrario, ed è il caso di specie trattato dalla sentenza in esame, quando si contesta a monte proprio che al momento dell’estromissione dall’azienda al lavoratore non fosse mai stato letto, mostrato o consegnato alcuno scritto contente la volontà datoriale di recesso, non essendo affatto pacifica la tempestiva redazione scritta del recesso, la prova testimoniale dei presenti alla contestata azione di consegna è inammissibile ex art. 2725 c.c.
Questa norma non consente la prova testimoniale d’un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente art. 2724 c.c., n. 3, vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa (circostanza, ovviamente, che si deve allegare a difesa).
Detto divieto di testimonianza ne importa inammissibilità rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (attenendo a norma di ordine pubblico), a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione dell'art. 2721 c.c. e ss., o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum, che invece determina mera nullità relativa ex art 157 c.p.c., co. 2, (concernendo la tutela di interessi privati), in quanto tale sanata ove non eccepita dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al suo verificarsi (giurisprudenza costante: cfr., ex aliis, Cass. sent. n. 14470/14).
Né tale divieto è superabile ex art. 421 c.c., co. 2, prima parte, noto essendo che esso, nell'attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. (giurisprudenza costante: cfr. Cass. sent. n. 17614/09).
Di conseguenza, e per concludere, la Corte respinge il ricorso e sancisce la nullità del licenziamento nel caso di specie, ma indirettamente suggerisce che non può supplire alla consegna brevi manu completata, il documento prodotto da parte datrice e consistente in una lettera di licenziamento recante la data certa con la dicitura, in calce, della sua avvenuta lettura al ricorrente medesimo, se di tale documento non risulta la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all'estromissione del lavoratore.
Né la data potrebbe essere quella riferita da testi, perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente quel divieto di prova testimoniale di cui all'art. 2725 c.c.
Pertanto, non potendosi provare in via testimoniale la controversa comunicazione per iscritto del licenziamento, lo stesso risulta nullo per difetto della forma prevista ex lege.
Tale conclusione è coerente e simmetrica a quella adottata dalla Cassazione in tema di impugnazione extragiudiziale del licenziamento ex articolo 6 l. n. 604/66, anch’essa richiesta per iscritto ad substantiam (cfr. Cass. sent. n. 10862/06).